Chi sono? Difficile dare una definizione di sé. Difficile sapere chi si è senza passare dall’indicazione di ciò che facciamo. Ma ciò che facciamo ci definisce? Indubbiamente sì. Ma non è tutto lì. C’è qualcosa che va oltre il fare quotidiano, il lavoro, l’ufficio, gli orari, le necessità, le preoccupazioni.
Allora fermati. Stacca la testa. Respira profondamente fino a sentire l’aria che entra nella pancia. E stai in quella pausa. Ora osserva di nuovo cosa accade. Senti la pace che arriva calda? Senti i muscoli della schiena che gradualmente si rilassano, abbandonano la contrazione? Le spalle si abbassano e il tuo baricentro si radica alla terra.
Ora prova a trovare te stesso in questo silenzio. E domandatelo di nuovo: “Chi sono?”. Comincerai presto a trovare risposte inaspettate. Degli angoli di te dimenticati, sepolti sotto coltri di ‘devo’, ‘farò’, ‘domani’, ‘insoddisfazione’… Chi sono una volta tolto il pensare solo a me, gli ego, la critica rivolta agli altri, il pessimismo, la negatività? Chi sono in quel respiro?
È un esercizio che mi capita di far fare a scuola con i ragazzi. Quando entro nelle classi per parlare di argomenti impegnativi, c’è un momento in cui tutto si ferma e arriva questa domanda. Mi guardano sconcertati quando gliela pongo: non sanno come rispondere e non pensano all’inizio che questa domanda abbia a che fare con il mio essere lì. Ma non importa se non lo capiscono o se non sanno rispondere: ciò che conta è sapere che questa domanda esiste. Il sentirla girare nella testa. Il porre l’attenzione alle possibili risposte. Il cominciare a tenersela accanto, osservandola ogni tanto, temendola a volte e affrontandola quando si è pronti a farlo.
È un naturale esercizio che si fa a Studio Yam appena si varca la soglia: si entra, ci si toglie il cappotto, si tolgono le scarpe, ci si spoglia del fuori e in quel silenzio accompagnato dalla musica dei mantra che cullano e rasserenano ti trovi tu nudo con quella domanda. Chi sono? Forse già comprendendolo in quelle sovrastrutture che cadono, in quella non necessità di doversi difendere.
Ma perché è così importante domandarselo? Perché solo dalla comprensione di se stessi si può passare alla individuazione dei ‘bisogni’, parola che sostituirei con passi da compiere, legami da costruire, obiettivi da raggiungere, Lavoro da compiere (intendendo per Lavoro quello su se stessi). Perché la parola ‘bisogno’ implica un attaccamento, una necessità. Ma davvero abbiamo bisogno di qualcosa per vivere o le uniche necessità sono respirare, bere, nutrirsi?
Nel respiro il ‘chi sono’ si scioglie, si illumina, si semplifica. I nodi si slacciano, i fili della matassa aggrovigliata si vanno ordinando diligentemente, lo stomaco si allarga e lì compariamo noi.
Più stiamo in questo respiro, che è meditazione, che è yoga, che è preghiera, e più la nostra coscienza si ossigena, sorride, si guarda allo specchio. Le paure vanno via e ciò che sembrava complesso da risolvere diventa semplice, a piece of cake (un gioco da ragazzi).
Le montagne insormontabili diventano ghiaccio che si fa acqua e poi vapore. E le decisioni sono facili da afferrare.
Respirare è lasciare andare… anche le lacrime per tanto tempo tenute nascoste da qualche parte. Respira e lascia andare le sovrastrutture e ciò che non sei, ciò che sei diventato a causa o grazie alle cose della vita. Torna all’essenza. Perché solo quando tutto sarà andato via, allora finalmente ti incontrerai: rispondere a questa domanda sarà semplice, naturale e la musica che sarai capace di produrre dopo il silenzio del respiro, in quella pausa apparente dalla vita (nel pieno della vita), sarà una musica irresistibile.
Un incontro con se stessi ancora più forte e pieno quando intorno a noi c’è la natura, con la sua energia che ci energizza, il suo respiro che ci tiene in vita, i suoi frutti che ci nutrono. Proprio per questo, dal mese di marzo, lo Studio Yam organizza incontri di yoga all’aperto.
Giornalista e scrittrice, già inviata de La Vita in Diretta, ha collaborato con diverse testate nazionali.
Come scrittrice ha pubblicato molti saggi inchiesta. È autrice delle prime favole antimafia per bambini. Ambasciatrice del Telefono Rosa, vincitrice di diversi riconoscimenti, da anni porta avanti nelle scuole progetti di prevenzione alle dipendenze e alle mafie. È ideatrice e direttore Artistico del Festival InDipendenze, dal 2018 collabora al WeFree, progetto di prevenzione alle dipendenze della comunità di San Patrignano. Il suo blog è ask4angela.com
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